La seconda,
tra le materie prime che andiamo a trattare è il malto.
Che cos’è il
malto? Nient’altro che il prodotto dato dalla “maltazione”, appunto, dei
cereali. I cereali sono erbacee che, grazie alla clorofilla e all’energia
solare, come tutte le piante, riescono a comporre, partendo dall’anidride
carbonica dell’aria, gli amidi che si accumulano nei semi. Il birraio utilizza
tali amidi trasformandoli in zuccheri grazie all’azione degli enzimi dei
cereali stessi, lasciando poi che il lievito li fermenti per produrre l’alcol e
l’anidride carbonica della birra.
Per produrre
birra, è utilizzabile qualsiasi tipo di cereale, che spesso vengono miscelati
tra loro, differenziando le diverse tipologie di birra; ma la scelta delle
materie e le diverse quantità dell’uno o dell’altro cereale, sono
caratterizzate prevalentemente dalla tipologia di coltivazione locale, che
nella maggior parte dei casi viene prediletta. Per cui notiamo che in Europa e
in America viene usato molto il mais, in Asia c’è un ovvia prevalenza di riso e
il miglio è l’ingrediente preferito del continente africano. Ma il cereale
“principe” per la produzione birraia è sicuramente l’orzo, il quale trova sfogo
in Germania dove viene utilizzato quasi in esclusiva, insieme ad una piccola
percentuale di frumento. L’orzo cresce in ogni regione, da un’altezza che parte
dal livello del mare fino a 1600 metri e più. Per questo si presta molto bene
quale coltivazione alternativa laddove altri cereali danno uno scarso
rendimento. L’orzo permette di ottenere maggior profitto anche quando la
coltivazione non è estensiva, in pendenze critiche per gli altri cereali e in
terreni difficili. Le regioni che si distinguono per la produzione di orzo da
birra, in Italia, sono la Puglia, la Basilicata, il Lazio e la Toscana. Oltre
ad essere il più facile e redditizio in campo agricolo, questo cereale risulta
essere anche il più usato nel mondo, per la produzione birraia, in quanto,
anche il più adatto a trasformarsi in malto attraverso la germogliazione. Non
sorprende perciò che, oltre ad essere stato il primo della sua categoria usato
dall’uomo per nutrirsi, cronache degli Assiri, risalenti a circa 4000 anni
prima di Cristo, raccontano che la prima birra nacque da chicchi di orzo
parzialmente germogliati e seccati.
In natura la
pianta la pianta si può presentare in due aspetti, che si differenziano in base
al numero di file di semi prodotti: l’orzo distico ne presenta solo due, mentre
quello con sei o otto file di semi, viene denominato polistico. Per la
produzione birraia, ovviamente si usa la qualità migliore, e quindi la prima,
che si semina, in genere in primavera e che, data la minor quantità di file, i
semi risultano essere più turgidi; ricchi di amido e poveri di proteine. Ogni
seme d’orzo, come di qualsiasi altro cereale, contiene una scorta di materiale
nutritivo per la germinazione e la crescita della nuova pianta e una certa
percentuale di proteine con varie funzioni tra cui quella di trama su cui si
regola la disposizione dell’amido nel chicco. Dal punto di vista chimico il materiale
nutritivo è costituito da uno zucchero semplice, il glucosio, unito in una
lunghissima catena chiamata molecola di amido. Il glucosio, ma non l’amido, è
il materiale utilizzato dalle cellule e dai lieviti per il fabbisogno
energetico. Partiamo dallo zucchero più semplice, il glucosio, se questo si
lega ad un’altra molecola identica, otteniamo il maltosio, zucchero anch’esso
fermentabile, cioè utilizzabile dal lievito che, sfruttando la buona capacità
dolcificante, gli consente di moltiplicarsi e vivere nella birra. L’unione
invece, di una decina o dozzina di glucosi, dà vita ad un altro zucchero
chiamato maltodestrina. Questa molecola è meno dolce del maltosio, ma che
comunque conferisce al
palato, un buon gusto di pienezza e di dolce che viene genericamente descritto
come “corpo” della birra. Le maltodestrine non sono però attaccabili dai
lieviti e sono quindi note col termine generico di “zuccheri non
fermentescibili”. Se andiamo invece ad allungare questa catena di zuccheri fino
ad ottenere una specie di trenino fatto di alcune centinaia di migliaia di
molecole di glucosio, otteniamo una struttura che chiamiamo amido e che è,
quindi, il principale componente, dal punto di vista quantitativo, della nostra
materia base: il seme d’orzo. La disgregazione di questa enorme struttura
richiede una serie di reazioni chimiche che spezzano la catena fino a strutture
più semplici e, dal punto di vista organolettico, più dolci. Inoltre l’amido,
per essere attaccato, deve essere liberato dalla maglia di proteine che lo lega,
tramite la proteasi. Questa disgregazione avviene durante la maltazione e la
prima fase dell’infusione: in sostanza, si passa dall’amido via via fino ad
arrivare alle maltodestrine e al maltosio. In base ai cereali scelti, alle
quantità usate ed alla lavorazione cui essi vengono sottoposti, quindi potremo
avere birre differenti tra loro, sia per il colore, sia per il gusto, arrivando
a poter soddisfare qualsiasi tipo di palato.
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