Ilmaltobirraio

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giovedì 24 marzo 2016

I viaggi del Maltobirraio_L inconsueto Birrificio Bustese


Ieri sera sono andato in un piccolo borgo di una cittadina in provincia di Varese. Borsano, frazione di Busto Arsizio, dove per un periodo, mi è capitato di passare spesso davanti ad una serranda, cui l’insegna recita “L’Inconsueto Birrificio Bustese”. Un edificio classico della zona, a prima vista datato negli anni, ma altresì mantenuto con cura. Ciò che tormentava la mia curiosità era una serranda sempre abbassata, al limite del pensiero di funzionalità, o meno, dell’esercizio. Fortunatamente la smentita, presto si è fatta riconoscere, alche, chiedendo informazioni, a chi la zona la conosce meglio di me, scopro l’effettivo orario di apertura al pubblico: le 19:00. (escluso il lunedì) Entusiasta di verificare l’esattezza delle informazioni ricevute, nel varcare la porta del civico 1 di via XXIV Maggio, ho trovato al suo ingresso un piccolo gioiello di legno e mattoni, che mi ha accolto come le braccia di una mamma. Piccolo e rustico, al suo interno, il locale ed i suoi gestori, si sono presentati con molta gentilezza nei miei confronti e degli ospiti che vi erano al suo interno. Mi sono accomodato e, menù alla mano, ho scelto di assaggiare un paio delle cinque diverse birre elencate, tutte prodotte dal Mastro Birraio Rossi Valentino, nonché proprietario dell’attività dal 2004, che purtroppo non ho avuto, in questa occasione, l’opportunità di conoscere personalmente, a differenza della Signora Etta, che, con garbata gentilezza si è presa carico delle mie richieste.

L’Inconsueta, omonima del birrificio appunto, una bionda fresca ed avvolgente nei profumi e dal sapore lievemente affumicato, racchiusi nel 4,5% di volume alcolico, nascosti da una schiuma morbida, pannosa e molto persistente, nati da una ricetta personale del Mastro Valentino. Dopodiché mi sono tuffato in un amaro sapore tipico anglosassone datomi dalla SpeciAle English, come recita il menù appunto, una rossa con un 5,5% di gradazione, anche lei dotata di una bellissima schiuma persistente, molto piacevole al palato. Il tutto accompagnato da un tagliere di salumi e formaggi tipici, serviti insieme a del mosto di vino dalla consistenza simile al miele, ma dal gusto inequivocabile del malto, cui non riesco a trovare aggettivi per spiegarne la bontà. Infine, dato il periodo pasquale in cui ci troviamo, non ho saputo rifiutare la proposta della gentile Signora Etta, e quindi mi sono lasciato coinvolgere nell’assaggiare una fetta di colomba, fatta con trebbie di malto e con birra al miele di castagno servita con del mascarpone. Già, il mascarpone, un classico voi direte, ed è proprio qui che vi sbagliate; semplice agli occhi, ma che al palato ha dato vita ad una, come dire, “inconsueta” e sorprendevole festa di sapori creata appunto dalla moglie del Signor Rossi. No, il trucco del mascarpone non voglio svelarlo, perché vi rovinerei la sorpresa nel caso vi venisse in mente di andare personalmente in questo birrificio; sarebbe come raccontarvi il finale di un film che non avete ancora visto…o no?!? In quanto alla colomba, non vi ho detto che era buona, vi dico solo che ne ho comprata una intera da portare a casa.

Quella che vi ho raccontato è stata la mia picccola esperienza visitando questo, secondo me, fantastico seppur piccolo locale, dove ho avuto il piacere di conoscere nuovi sapori e di provare belle emozioni. Ovvio tutto è soggettivo, proprio come la fantasia, che ci permette di creare, ciò che l’istinto di ognuno di noi, suggerisce. Spero di riuscire, a breve, a raccontarvi una nuova esperienza, ma in tutta onestà penso anche, che all’Inconsueto tornerò presto.

I viaggi del Maltobirraio


Prendendo una pausa sulla procedura di birrificazione, vorrei inserire una piccola rubrica, che non vuol avere un concetto “pubblicitario” nel senso specifico della parola stessa, ma che vuol informare, o per meglio dire, raccontare luoghi e realtà, descrivere emozioni e sensazioni, che ricevo nel visitare i vari birrifici, pub o manifestazioni inerenti comunque, alla nostra bevanda preferita. In questi articoli “saltuari”, darò, talvolta, dei giudizi, che saranno comunque personali. Non mi occupo di recensioni, non sono un critico, né tanto meno un professore, ma solo un piccolo birraio appassionato e a volte un po’ “malto”, perciò non mi soffermerò mai troppo, nemmeno sulla descrizione tecnica dell’una o dell’atra birra; come ho detto prima, vorrei raccontare più di tutto l’esistenza di piccole o grandi realtà inerenti alla birra e le emozioni che sapranno suscitarmi. Mi piacerebbe l’idea di scoprire anche i più piccoli “vicoletti” nascosti che, con passione e dedizione, animano questo mondo, dando sfogo alla fantasia e alla creazione di successi qualitativi, più che a quelli strettamente economici. Il nostro oro, versiamolo nei bicchieri e…cin cin.

mercoledì 23 marzo 2016

L’Ammostamento


Una volta maltati i cereali, e poi macinati, si arriva ad un’altra fase molto interessante riguardante la produzione della birra. L’ammostamento.

L’ammostamento è l’operazione durante la quale si estraggono gli zuccheri dal malto portandoli in soluzione nell’acqua riducendo, eventualmente, il contenuto proteico del mosto che si va formando. Lo scioglimento degli zuccheri e il degradarsi delle proteine, è dovuto agli enzimi, che formandosi durante il processo di maltazione, sono ora divenuti pronti ad agire sul chicco di malto. Di questi, due servono ad estrarre gli zuccheri dal malto rendendoli solubili nell’acqua, mentre il terzo si adopera per il degrado delle proteine e per conferire maggiore stabilità alla birra. Gli enzimi che estraggono gli zuccheri si chiamano alfa amilasi e beta amilasi. Il primo svolge un lavoro più grossolano staccando pezzi relativamente grossi dall’amido maltato, le maltodestrine; mentre la beta amilasi, l’altro enzima, con la sua precisione, va a rilevare soltanto frammenti costituiti da due zuccheri semplici, il maltosio.

Questi due prodotti, maltosio e maltodestrine, sono in qualche modo alternativi perché si ottengono dall’azione di due diversi enzimi sullo stesso materiale, che è l’amido. Favorendo l’azione delle beta amilasi potremo ottenere un mosto con alte concentrazioni di zuccheri fermentescibili, che in sostanza significa maggiore alcol nella birra, se invece favoriamo l’azione dell’alfa amilasi andremo ad ottenere una maggiore concentrazione di maltodestrine, che invece trasmetterebbero una maggiore corposità alla birra ed un pizzico di dolcezza in più. Già, perché si parla di zuccheri estratti dal malto, in effetti se avete provato ad assaggiare un chicco vi siete subito resi conto di quanto sia dolce il sapore, ma ciò non decreta una regola sulla “dolcezza” della birra; anche se il mosto è dolce, non è detto che lo sia anche la birra. Sì, perché solo il dolce proveniente dalle maltodestrine è quello che resiste al processo di fermentazione.

Il metodo più utilizzato per differenziare queste due attività è quello di agire sulla temperatura. Ogni enzima agisce al meglio ad una precisa temperatura, ad esempio 65°C, ciò non vuol dire che a pochi gradi di differenza questi enzimi non agiscono più, semplicemente a quelle temperature la velocità della reazione che inducono, sarà minore, non togliendo che invece altri enzimi ne potrebbero trarre vantaggio. Sembra complicato, ma non lo è, basta farsi aiutare semplicemente da un termometro, così da tenere sempre sotto controllo la temperatura desiderata, in base alle caratteristiche che vorremo imprimere al prodotto, tenendo presente anche, che temperature troppo alte farebbero addirittura cessare l’attività di questi enzimi. Mantenendo la miscela ad una certa temperatura per un certo periodo di tempo, ad esempio mezz’ora, potremo favorire la reazione di un certo enzima, mentre gli altri nel frattempo rimarranno inattivi, o se attivi, alla minima velocità. Parlando praticamente, ad una temperatura di circa 60°C sarà la beta amilasi ad essere l’enzima più attivo, mentre portando il mosto a 70°C daremo più velocità di reazione all’alfa amilasi. A questo punto, termometro alla mano, non resta che “giocare”; voglio una birra più corposa o una birra più alcolica?

lunedì 14 marzo 2016

La macinazione


Dopo aver visto i vari ingredienti principali per la produzione della birra, eccoci giunti al momento di ad andare a descrivere, passo per passo, le varie fasi di procedimento.

Una volta maltato l’orzo, o il cereale scelto, si deve lasciar riposare per circa un mese prima del possibile impiego. Una volta trascorso questo tempo, ecco che il primo passo da eseguire per l’utilizzo del malto è la macinazione. I chicchi e la scorza esterna dovrebbero essere macinati senza che siano frammentati eccessivamente poiché, durante la filtrazione, fungeranno, appunto, da filtro naturale. La grandezza dei frammenti ottenuti dal chicco, perciò, dovrebbe essere di un paio di millimetri. La teoria della macinazione vuole che tutti i frammenti siano di egual diametro massimo: il meccanismo consigliato è quello della compressione del chicco da parte di due superfici rigide che portano allo “scoppio” del chicco senza polverizzarlo. Infatti mentre una macinazione troppo grossolana non permette la giusta estrazione degli zuccheri dal chicco, una troppo fine non consente un’adeguata chiarificazione della birra e intaserebbe il letto filtrante delle trebbie stesse, che invece risulterà, anch’esso, essere un passo determinante durante poi la filtrazione. Un'altra regola è quella di macinare il malto poco prima del suo utilizzo, questo per due semplici motivi: il primo è che certi aromi si possono perdere se il chicco macinato viene lasciato all’aria per troppo tempo, il secondo è che se la macinazione viene fatta presso mulini industriali piccoli insetti che vivono in questi ambienti possono infestare il macinato rendendolo inutilizzabile nel giro di pochi giorni. Pochi sono i mulini adatti a questo scopo. Per ottenere questo tipo di macinazione sarebbe ideale acquistare, da un rivenditore, un mulino per malto, che sono strumenti più o meno grandi, ma ne esistono anche in formato casalingo, composti da due cilindri rotanti che schiacciano il chicco del malto. Un attrezzo strettamente casalingo potrebbe essere un macinino per caffè regolato in modo che la distanza tra la macina e la base sia circa la metà del diametro dei chicchi, dunque circa un millimetro; evitando quindi di sminuzzare troppo le scorze, che, come dicevamo prima serviranno poi per la filtrazione del mosto, e che comunque contengono sostanze amare le quali sarebbe meglio non estrarre. Il macinato ideale, quindi, ha le scorze ancora in forma di pagliuzze, poca farina e la massima quantità di semolino piuttosto grosso. Per ogni litro di birra di 12°P si macinano, in genere, circa 200 grammi di cereale e, in diretta relazione al grado, di più per le birre più forti e meno per le più deboli.

sabato 5 marzo 2016

Che Malto vuoi?


Dopo aver approfondito una ad una, le materie prime necessarie per la produzione della birra, andiamo ad esaminare anche le varie tipologie degli ingredienti. Per chi già si è cimentato nella produzione birraia, o per chi magari lo farà in futuro, sicuramente avrà provato a mescolare più tipi di malto. Un po’ come una pozione magica, ognuno può aggiungere o diminuire a piacimento le dosi di un tipo di malto piuttosto che di un altro, per trovare la “propria” formula in base ad ogni tipo di palato.

Per una giusta germogliazione si controlla sia lo sviluppo delle radichette, che si formano alla base del chicco, sia lo sviluppo della “piumetta”, che avviene sotto la scorza del chicco. Questa deve raggiungere per il malto chiaro da una metà ai 2/3 della lunghezza del chicco, per il malto scuro da 2/3 a un intero. Per non far perdere troppa sostanza al cereale, si deve evitare che la piumetta fuoriesca dalla cariosside, finendo per formare quelli che in gergo si chiamano “ussari”. Durante la germogliazione si può far salire la temperatura fino a 18/20°C, evitando temperature più alte, che potrebbero conferire al malto e poi alla birra un aroma meno fine. Il chicco di malto ha raggiunto il giusto grado di “disgregazione” quando, piegato sull’unghia, non si spezza più, e quando il suo corpo farinoso, spalmato sull’unghia, assume l’aspetto del gesso. A questo punto viene denominato “malto verde”, e deve essere essiccato per interrompere la germogliazione, poiché a questo punto il contenuto del chicco si è già sufficientemente disgregato: è stato cioè reso solubile in acqua grazie agli enzimi che l’embrione ha prodotto. Questi enzimi poi continueranno in sala cottura la loro opera, che viene denominata “saccarificazione” e che consiste nel fatto che tutte le sostanze amidacee vengono trasformate in zuccheri, anch’essi solubili in acqua. Questi rappresentano la parte più importante del mosto. Gli enzimi sono sensibili al calore, specialmente se il contenuto di umidità è elevato. Perciò per ottenere un buon malto, è indispensabile procedere ad un essiccamento molto prudente, a temperature intorno ai 30-40°C durante le prime 12ore, in forno ben areato, per poi salire durante le successive 12-18ore a temperature intorno ai 60-70°C. Infine si essicca per altre 6-12ore a 80°C, temperatura alla quale in ambiente secco gli enzimi non vengono indeboliti, e alla quale la colorazione del malto rimane ancora molto chiara. In questo modo si ha la produzione del malto chiaro tipo Pilsen.

Se si vuole ottenere invece un malto per birre scure, la temperatura finale dovrà essere elevata, a valori tanto più alti quanto maggiore si vorrà che sia la colorazione della birra. Oltre i 110°C si ottengono però malti che conferiscono alla birra un sapore di bruciato che è bene evitare. Il malto essiccato, chiaro o scuro che sia, si lascia poi raffreddare per procedere subito all’eliminazione delle radichette, che darebbero alla birra un sapore meno fine e che ne danneggerebbero, al contempo, la schiuma. Per la loro eliminazione si lavora energicamente il malto con mezzi meccanici, o con le mani per piccole quantità, setacciando poi le radichette attraverso un vaglio adeguato, dalla maglia appena più piccola del chicco del cereale. Il malto a questo punto può dirsi stabilizzato permettendo la conservazione a secco anche per molti mesi.

Il malto colorante serve per aumentare la colorazione della birra e si aggiunge in proporzioni del 2-3% , calcolate sul cereale totale impiegato, secondo la colorazione che si vuole ottenere. Si ottiene dal malto chiaro, ancora ricco di enzimi: lo si mette a bagno per cinque o sei ore, con mezzo litro d’acqua per chilo di malto, rivoltandolo di tanto in tanto. Si può anche procedere con del malto verde, ma le radichette bruciate conferiscono al malto colorante un sapore di bruciato più accentuato. Il malto così inumidito viene prima portato a 70°C e tenuto a questa temperatura per un ora, al fine di ottenere una certa saccarificazione del contenuto del chicco. Poi si porta lentamente la temperatura a 200°C e si controlla la colorazione dimezzando un chicco: il corpo farinoso dovrà raggiungere un leggero color ambrato, ma non deve diventare nero, poiché donerebbe decisamente un aroma di bruciato, anche se questo tipo di malto colorante, senza attività enzimatiche e senza estratti fermentabili, viene usato per la produzione delle Stout.

Esiste anche un malto chiamato Caramello o Cristal  e lo si produce prendendo del malto ricco di proteine e invece di essiccarlo lo si porta a 65°C immerso in acqua per due ore. A questa temperatura gli zuccheri divengono caramello e si arricchiscono di maltodestrine. Solo a questo punto si essicca a 80°C  per il caramello chiaro o a 120°C  per quello più scuro. Impartisce alla birra finita un tipico gusto di noce. Un consiglio è, però, di non usarne più del 30% rispetto ai malti chiari. Il Chocolate invece è un malto molto proteico essiccato fino a 230°C  dal sapore molto piacevole e caratteristico.

A questo punto lo spazio rimane solo per la fantasia in rispetto dei propri gusti e di ciascun palato. Le mescolanze, le dosi e le percentuali sono una variabile infinita a cui tutti potrebbero trovare la giusta collocazione sensoriale, ed ognuno potrà sperimentare la “pozione magica” più gradita.