Ilmaltobirraio

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lunedì 4 luglio 2016

I viaggi del Maltobirraio_Le Birre del Parco Parri


 
Dopo che il caldo ha titubato ad arrivare, nonostante l’estate, abbia avuto inizio già da un paio di settimane, dopo una primavera metereologicamente altalenante, eccoci ritrovati immersi nella solita afa torrida che spesso in questo periodo dell’anno, contraddistingue il nord Italia. Per la prima domenica di luglio ’16, il cielo ci ha riservati un azzurro, imponente, più delle bandiere sventolate negli stadi, dai nostri connazionali, presenti agli Europei di calcio, che si stanno svolgendo in Francia in questi giorni, ed un sole al massimo del suo splendore ed ovviamente del suo calore. In questa bellissima giornata, quindi, abbiamo deciso di evitare le chilometriche code verso le spiagge già super affollate, ed abbiamo scelto di rilassare le nostre menti, ossigenare i nostri polmoni e rinfrescare le nostre arse gole, in un bellissimo parco del pavese, il Parco Parri di Vigevano, ove grazie a “Beerinba” si è tenuto un evento di tre giorni dedicato alla Birra Artigianale, allo Street Food e naturalmente al divertimento.

Il parco situato al centro della cittadina in provincia di pavia, da poco tempo ristrutturato, ci ha accolti all’interno del suo immenso verde, attraversato da un bellissimo laghetto pluripopolato da pesci, anatre ed anche qualche cigno. All’interno della struttura si può passeggiare in tutta tranquillità lungo il sentiero che circonda il laghetto, si può prendere un po’ di fresco sulle panchine dislocate lungo tutto il parco e sono state create varie attrazioni anche per il divertimento e lo svago dei bambini. Per questo weekend, affianco al bar del parco, è stata creata inoltre un area pic-nic circondata da sette stand di birrifici artigianali e quattro postazioni food.

Dopo aver assaporato i vari profumi offerti dalla natura di questo grazioso parco cittadino, il caldo venticello estivo ci ha quindi accompagnato all’interno dell’area pic-nic, dove come al sempre in queste occasioni è arrivato ad assalirci il solito dilemma…da quale birra partiamo??

La prima scelta è ricaduta su “Il Conte Gelo” birrificio della Lomellina che ci ha fatto molta simpatia per la sua locandina dedicata ai “Bevitori Seriali”. Qui abbiamo assaggiato due delle loro cinque birre presentateci:  “Gragnola” una session beer molto beverina, una Golden Ale dal volume alcolico contenuto pari al 4,3% , una bionda molto chiara, dal gusto secco e dissetante e nello stesso tempo avvolgente nei suoi profumi fruttati e floreali; e poi “Kamchatka” un Imperial stout molto imponente al palato e una gradazione alcolica molto elevata, facile riconoscere il retrogusto di caffè tostato e il profumo di cioccolato, un colore molto scuro ed un finale amaro molto importante.

Abbiamo poi deciso di accompagnarci con qualche sfiziosità street food e passando davanti allo stand di “Mamma che Buono” ci siamo lasciati incantare dalle sue fritture ed ingolosire da un buonissimo cartoccio di pesciolini fritti deliziosissimi, che ovviamente abbiamo accompagnato con dell’ottima birra stavolta spillataci dalle “fontane” di “Croce di Malto” dove a presidiare lo stand c’erano i gentilissimi Enzo e Barbara nonché gestori di “Beerinba”. Ma andiamo alle birre, le scelte sono ricadute su “Temporis” una season beer, una bionda molto fresca con un 6,8% di gradazione alcolica, sentori speziati con retrogusto ed un profumo di zucchero candito; e poi “Hauria” una bionda leggera, poco alcolica che va facilmente a rinfrescare i palati e le gole di chi la beve, molto buona e dissetante.

Purtroppo, non abbiamo potuto visitare tutti gli stand, dove però ci tengo a citare la presenza di “Panzeroad” che spero presto di ritrovare in un nuovo evento per aver l’occasione di assaggiare uno dei loro panzerotti; e poi dei birrifici “Gaia” e “Castagnero”, che avevamo già avuto il piacere di conoscere a Grazzano Visconti, dove avevamo incontrato anche  un altro birrificio, ma senza aver avuto la possibilità di conoscerlo così a fondo come in questa occasione, ed è proprio per questo che ho volutamente lasciarlo per ultimo, non certo per quanto riguarda i meriti delle sue birre e tantomeno dell’accoglienza e della simpatia di Michele il “Venditore”. Sto parlando del microbirrificio JEB di Baù Chiara sito in  Trivero (BI). Travolti dalla simpatia e dalla chiacchiera di Michele, qui le birre le abbiamo assaggiate davvero tutte scegliendone infine addirittura un tris da portare a casa. Come di mia abitudine però, non voglio svelarvi proprio tutto, preferendo che vi resti un po’ di curiosità che vi spinga, come farà sicuramente presto “Ilmaltobirraio”, ad andare di persona a degustare queste fantastiche birre, tra le quali c’è “Maya” una chiara prodotta con puro malto d’orzo, aromatizzata con miele di rododendro che insieme a delle note floreali regalano un’intensità di profumi emozionante regalando al palato la dolcezza del miele, appunto; la buonissima “Saison n.5”, una belgian wheat ad alta fermentazione con un fondo dolce fresco e speziato, aromatizzata con scorza di arancia e semi di cardamomo; interessante è “Brulè” una birra ambrata con malto d’orzo e aromatizzata con chiodi di garofano e cannella che lasciano spazio anche a sentori di fiori d’arancio, una 5,5% di volume alcolica connotata da molta frescezza ed un’importante “frizzantezza”; dulcis in fundo “Never Say Never” un American Pale Ale con otto luppoli americani, agrumi e frutti tropicali, è l’ultima nata del birrificio JEB e…e non vi dico null’altro perché dovreste assolutamente assaggiarla per capire quanto è sorprendentemente buona.

Salutando Vigevano e il parco Parri ringraziamo per la bellissima accoglienza di tutta la struttura, in particolare di tutti gli stand sia birraioli che gastronomici e purtroppo anche questo viaggio de “Ilmaltobirraio” è giunto al termine con un nuovo bagaglio di sapori, profumi e tanta tanta simpatia.

giovedì 12 maggio 2016

La cottura del mosto e il luppolamento


Eccoci ad una nuova fase, anch’essa molto importante, del nostro processo di birrificazione.  Una volta terminato il lavaggio delle trebbie, e quindi la filtrazione, si procederà alla cottura del mosto.

Lo scopo della cottura è quello di estrarre le sostanze aromatiche  del luppolo, di uccidere tutti i microrganismi, e quindi di sterilizzare, e di far coagulare le proteine per ottenere una birra più stabile e trasparente. Raccolto il mosto, in un pentolone d’acciaio inossidabile o di rame, lo portiamo quindi all’ebollizione. A questo punto si aggiunge il luppolo:  la teoria dice due grammi di fiori per ogni litro di birra se non si vuole produrla troppo amara; tre, quattro o addirittura cinque grammi per chi invece la preferisce più amara. Ovviamente poi il mio pensiero dice, e spero anche il vostro, che la creazione di una birra artigianale ha un qualcosa di artistico, quindi vi consiglio di sperimentare e dare sfogo alla fantasia per cercare di trovare gli abbinamenti che più vi aggradano.

Al momento “dell’inserimento”, bisogna avere cura che il luppolo non resti a galla, ma che invece venga subito coinvolto nell’ebollizione. Negli ultimi tempi, invece dei fiori di luppolo, che perdono una parte del loro aroma in pochi mesi, si usa spesso il luppolo “cubettato”,detto pellet, che ha il pregio, essendo fortemente pressato e confezionati in recipienti a tenuta, di non lasciare reagire l’ossigeno con le sue sostanze aromatiche.  Fate attenzione però: se usate questo tipo di luppolo la schiuma che si forma dopo pochi secondi è maggiore rispetto all’uso dei fiori, tanto da poter far traboccare il liquido all’interno della pentola. In questo caso è sufficiente continuare a mescolare senza abbassare la fiamma.

Dalla qualità del luppolo dipende, in parte, la qualità dell’aroma della birra, come certo è che dalla quantità  ne dipende direttamente l’intensità di amaro. Dato che il luppolo ha anche la facoltà di conferire alla birra una schiuma più compatta e più stabile, e dato che contiene delle sostanze che agiscono contro lo sviluppo di microrganismi, spesso il birraio preferisce usare quelle varietà la cui quantità può essere maggiorata senza che l’amaro della birra diventi troppo intenso per il palato del consumatore. Quindi il mosto, cui si è aggiunto il luppolo, si fa bollire per circa un’ora e mezza. Durante l’ebollizione, le componenti amare del luppolo si isomerizzano e passano in soluzione, mentre le proteine subiscono una coagulazione, diventando in parte insolubili e in tal modo, nella fase successiva facilmente eliminabili, a tutto vantaggio della stabilità della birra. I microrganismi eventualmente ancora presenti nel mosto vengono uccisi, rendendolo così stabile anche sotto l’aspetto microbiologico, il processo enzimatico viene bloccato, e con l’evaporazione dell’acqua per ebollizione si ottiene la concentrazione dell’estratto che si desidera avere all’inizio della fermentazione.

Trascorso il tempo di ebollizione si procede con il raffreddamento. Il mosto dev’essere liberato dal coagulo di proteine, dalle sostanze insolubili del luppolo e da eventuali sostanze insolubili del malto che fossero sfuggite alla filtrazione della miscela. Più limpido è il mosto all’inizio della fermentazione, più fine risulta la birra finita. L’abbattimento della temperatura deve avvenire nel minor tempo possibile, arrivando alla quota giusta, in base al tipo di fermentazione che si vuole applicare (5-6°C bassa fermentazione, 10-12°C alta fermentazione), ma nel frattempo, si deve evitare la contaminazione di microrganismi che possono infettare la birra. Vi sono più tipi di raffreddamento “rapido”: quello più facilmente attuabile in casa si ottiene con una serpentina di rame immersa nel mosto e collegata ad un rubinetto di acqua fredda. È consigliabile immergere la serpentina, già lavata, nel mosto, già negli ultimi cinque minuti della cottura, in modo da ottenere anche una sterilizzazione della stessa. Una volta ottenuto l’abbattimento della temperatura, il mosto, ancora ricco dei fiori del luppolo, dovrà essere filtrato nuovamente. Questo passaggio serve a ripulirlo del luppolo e dei coaguli di proteine che si sono formati. È sufficiente usare un classico colino da cucina, appoggiarlo sul bordo del fermentatore e con cautela versare il liquido al suo interno. Ciò trattiene i semi e i petali del luppolo e facendo cadere il mosto sul fondo del fermentatore da una certa altezza e con una certa energia, diamo vita ad una prima aerazione  del mosto, che sarà molto utile nella fase di inseminazione del lievito.

A questo punto procediamo ad una prima verifica del lavoro svolto: la prima cosa da fare è controllare la densità mediante densimetro, appunto. Una volta lavato per bene (ottimo sarebbe disinfettarlo mettendolo a bagno con dell’ipoclorito di sodio) avendo l’accortezza di toccarlo con le mani solo nelle zone che non verranno a contatto col mosto, immergiamo il densimetro all’interno del fermentatore. In alternativa, io consiglio di estrarre un po’ di mosto dal rubinetto e immergere il densimetro nell’apposito cilindro. Io seguo il secondo metodo, così elimino il rischio di contaminazioni o la dimenticanza dello strumento all’interno del fermentatore(può succedere),ovviamente il contenuto del cilindro, alla fine delle mie valutazioni, lo butto via. Il valore di densità misurato e il volume di mosto ottenuto ci daranno un’idea della quantità di acqua da aggiungere per ottenere il volume e la densità iniziale voluti. Può accadere che la resa non sia quella voluta, in pratica che il volume di mosto ottenuto sia inferiore a quello preventivato. In questo caso la diluizione o meno con acqua è una questione di scelte: diluendo con acqua minerale fredda otterremo una birra meno alcolica e meno amara, cosa che potrebbe essere accettabile per una birra da pasto, ma probabilmente deleteria per una birra da meditazione. L’ideale sarebbe fare più attenzione nel lavaggio delle trebbie, in modo da non arrivare a questa scomoda incombenza.

Dopo aver diluito o meno il mosto c’è un ultimo passaggio da fare prima dell’inseminazione del lievito, attenzione, assolutamente prima. Prendiamo una bottiglia, anche di plastica, purché pulita e in buono stato, e la riempiamo con un litro di mosto SENZA lievito, la tappiamo immediatamente e la mettiamo in frigorifero. Non va aperta per annusare e per nessun motivo. Lasciamola al suo posto fino a quando arriverà il suo momento di utilizzo.  
 

domenica 17 aprile 2016

I viaggi del Maltobirraio_Beer Festival di Grazzano Visconti


Ed eccoci ad un nuovo appuntamento con “I viaggi del Maltobirraio”.

Appena rientrati da un weekend full immersion nel mondo birraio, sono qui, pronto per scrivere e descrivere ciò che questo viaggio mi ha regalato, sperando di trasmetterVi alcune di queste emozioni provate. Questa volta siamo stati al Beer Festival organizzato da “Beerinba” nel castello di Grazzano Visconti situato nel comune di Vigolzone in provincia di Piacenza. Una location affascinante nell’aspetto e nelle strutture. Trattasi di un castello la cui costruzione risale al 1395 inizialmente di proprietà della famiglia Anguissola, fino al 1870, cioè fino alla morte del conte Filippo, che non avendo eredi, lasciò il castello alla moglie Fanny appartenente ai  Visconti di Modrone, tuttora gli attuali proprietari. Intorno al castello esiste un vero e proprio villaggio in stile medievale, che oltre ad essere meta turistica, ospita all’interno del borgo, botteghe artigiane e punti di ristoro, e spesso viene animato con rievocazioni storiche e feste in costume.

Ma siamo qui per parlare di birra…e quindi:  nel cortile del castello erano presenti 14 birrifici artigianali più il Birrificio Ex Fabbrica proprio di Grazzano Visconti, inoltre una cucina che offriva dei primi, oltre a grigliate di carne e patatine fritte, ma per far compagnia alle varie degustazioni, Ilmaltobirraio, ha scelto un simpatico omone paffuto dalle rosse guanciotte che riempiva panini con la mortadella di Bologna tagliata al momento sotto gli occhi di tutti; l’aquolina in bocca, ovviamente, l’ha fatta da padrone.

La simpatia dei birrai e l’estrosità degli stand hanno reso difficile la scelta su chi far ricadere la prima visita, ma poi una frase scritta su un telone si è imposta su tutto il resto perciò…si sono potute aprire le danze! La frase recitava: “Chi beve birra ha ragione” e quindi…come darle torto! Si è trattato del Birrificio Diciottozerouno  di Oleggio Castello (NO) che offrivano quattro birre di loro produzione delle cui ne abbiamo assaggiate due: Ruggine, un American Pale Ale ambrata con una consistente nota amara, caratterizzata inoltre da un’intensa luppolatura e da sentori agrumati; e poi Caraibi, una pilsner a bassa fermentazione bionda e rinfrescante caratterizzata da un invasione di profumi floreali. Il secondo stand che ha solleticato l’attenzione del Maltobirraio è stato Matildica , i manifesti, come l’etichetta sulla bottiglia, si intonava perfettamente con la struttura nella quale eravamo, con uno stile medievale ed una dedica speciale alla contessa Matilde di Canossa(1046-1115), una birra artigianale brassata con acqua di sorgente, malto d’orzo, miele biologico della Toscana, luppoli pregiati, lievito dell’abbazia di Orval e alcune spezie segrete usate nel medioevo. Ingredienti tutti raccolti esclusivamente in Italia, ma esportati in Vallonia(Belgio) dove avviene la produzione di questa birra dal colore rosso ambrato con un volume alcolico pari al 7%. Dopodichè siamo tornati subito in Italia passando per La Buttiga birrificio di Piacenza dove abbiamo assaggiato Psycho, una IPA caratterizzata da un intenso bouchet composto da fiori tropicali, agrumi e frutto della passione; ricca di luppoli americani e oceanici ben bilanciati dai malti caramellati che invadono piacevolmente la bocca, e Polka, una bionda Ale dal colore giallo carico, anche lei caratterizzata da essenze floreali molto più delicate; un gustoso sapore maltato arricchito da note di frutta gialla ben equilibrati dai luppoli. Passeggiando tra le botteghe e le vie del borgo medievale, sempre sorseggiando le varie birre presentateci in questo splendido festival di sapori, finalmente andiamo a trovare i “padroni di casa” il Birrificio Ex Fabbrica di Grazzano Visconti dove stavolta abbiamo assaggiato una Stout dal nome Oro Nero, una birra con un bel colore “tonaca di frate” con una schiuma cremosa e finissima; appena premiata all’ultimo concorso Slowfood  questa birra sparge un aroma rotondo e caramellato con note di caffè, liquirizia e cacao. E una Weiss dal colore giallo paglierino, prodotta un 60% di malto di frumento e un 40% di malto d’orzo presenta un corpo pieno e un gusto fruttato con note di spezie nel suo aroma. Ed infine la “bussola” ci ha diretti verso il Birrificio Solidale Aurora dove tra le tre proposte abbiamo scelto di assaggiare laPrima, una Blonde Ale ad alta fermentazione, delicata e beverina con un gusto leggermente maltato e con un aroma pronunciato di luppoli, con solo un 4% di volume alcolico rimane fresca e dissetante; e poi una inDhyana, birra ambrata in stile Pale Ale, caratterizzata da un aroma fruttato e speziato al cardamomo, offre un impatto delicato con un retrogusto amarognolo, la schiuma densa e persistente esalta il particolare gusto delle note esotiche.


Altri birrifici presenti erano: Veet Birrificio Artigianale Nobili, Birrificio di Legnano(MI), I tre Bagai, anche loro di Milano, Padus, Gaia, Birrificio Castagnero, Birrificio Legnone, JEB un microbirrificio di Biella, Hibu Brewery e il Birrificio Campi Flegrei. Purtroppo Ilmaltobirraio, non ha potuto visitare tutti i birrifici e assaggiare tutte le birre, sarebbe stato un po’ troppo, perciò si scusa con chi non ha avuto il piacere di intrattenersi, che certamente se troverà in altri raduni saranno i primi della lista, o magari verranno visitati personalmente. Comunque sia il weekend è stato divertente ed emozionante, oltre alle birre, davvero ottime, è stato piacevole vedere tanti volti sorridenti, molti accompagnati anche da bambini che dai più piccoli ai più grandicelli avevano la possibilità di scorrazzare felici tra gli spazi verdi e i vicoli del villaggio medievale intorno al castello. La serata di sabato è stata allietata anche da una divertente animazione di musica country che ha reso più vivace l’atmosfera.

Purtroppo come ogni viaggio, arriva il momento di riprendere la strada che riporta a casa, ma cogliendo l’occasione per fare i complimenti agli organizzatori di questa manifestazione, attendiamo il prossimo festival, per una nuova esperienza tra birre e sorrisi.













mercoledì 6 aprile 2016

La Filtrazione


Dopo la fase di ammostamento, ecco che si arriva alla fase detta: filtrazione. La durata e la facilità del procedimento di filtrazione dipende da come è stata eseguita la macinazione dei grani di malto. Se vi ricordate abbiamo detto di frantumare i chicchi facendoli scoppiare senza polverizzarli, in modo che proprio le trebbie potessero diventare il filtro naturale del mosto, appunto. Comunque sia, anche nel migliore dei casi, in teoria, la tempistica non dovrebbe essere meno di un ora circa. Questo è il tempo adatto, che serve alla miscela per separarsi e al birraio per sciogliere tutti gli zuccheri dai chicchi di malto mediante un risciacquo delle trebbie con acqua calda. Per questo procedimento potrete usare un sacco costituito da una rete di nylon con maglie adeguatamente fitte, o anche di lino, meglio se non tinto, adagiato all’interno di un secchio col fondo bucherellato. Iniziata la fase, iniziate ad esaminare il mosto che scende, può accadere che il mosto filtrato sia piuttosto torbido, o abbia troppi corpuscoli al suo interno: in questo caso rifiltrate, cioè versate di nuovo il liquido ottenuto sul filtro. Il mosto comincerà a scendere lasciando sedimentare i frammenti dei chicchi di malto esaurito, che sono appunto, le trebbie del malto. Prima che queste trebbie affiorino completamente dal liquido inizieremo il loro lavaggio con acqua calda fino all’estrazione della maggior quantità di zuccheri possibile. Per questa procedura il letto di trebbie che si formerà, non dovrebbe mai essere mosso, in modo da evitare che si creino vie preferenziali dove l’acqua potrebbe trovare una “via di fuga” lasciando così zone ricche di zuccheri tra le trebbie non “lavate” e altre zone, ormai senza più nulla da sciogliere, dove l’acqua uscirebbe tale e quale a quella versata. Si inizia riscaldando la quantità di acqua prevista per il risciacquo, il relazione alla quantità di birra da produrre, a 78°C. Quindi, una volta raccolto il mosto, o meglio, poco prima, si innaffiano con cautela le trebbie con quest’acqua. Ottimo sarebbe compiere questa operazione con un piccolo innaffiatoio, proprio per rendere lo spargimento più omogeneo e delicato, garantendo una migliore efficienza all’estrazione e inoltre, per evitare che l’aria penetri all’interno del letto di trebbie ossidando le sostanze che poi passeranno nella birra rendendola più scura. Oltre alla delicatezza dello spargimento, attenti sempre, a non creare canali preferenziali, facciamo in modo di mantenere un velo d’acqua sulla superficie del letto. Chiaramente la durata sarà in funzione della velocità del filtro e quindi tanto più lento sarà il filtro durante il risciacquo, tanto più completa sarà l’estrazione. Per sapere quando potrete terminare il lavaggio delle trebbie, controllate che la densità del liquido raccolto non scenda sotto 1.008. Attenzione: il lavaggio non è un’operazione strettamente necessaria ma se è mal condotta può essere deleteria. Infatti se è eccessivamente prolungata, oltre ad abbassare il contenuto di zuccheri, può estrarre un eccesso di tannino dando alla birra un gusto sgradevole. Piuttosto è consigliabile lasciare degli zuccheri non estratti e soprattutto…non avere fretta!!
Inoltre, una volta finito questo processo, le trebbie, volendo, possono avere un ulteriore utilizzo. Infatti trattandosi di cereali, possono diventare un piatto prelibato per maiali e galline, ma, perché no, possono essere usati anche per la panificazione. E per darvi una chicca, dato che è appena passato il periodo di Pasqua, in un piccolo birrificio che sono andato a visitare, ho avuto il piacere di assaggiare un ottima colomba, fatta proprio con le trebbie della birra...Una bontà!
 

giovedì 24 marzo 2016

I viaggi del Maltobirraio_L inconsueto Birrificio Bustese


Ieri sera sono andato in un piccolo borgo di una cittadina in provincia di Varese. Borsano, frazione di Busto Arsizio, dove per un periodo, mi è capitato di passare spesso davanti ad una serranda, cui l’insegna recita “L’Inconsueto Birrificio Bustese”. Un edificio classico della zona, a prima vista datato negli anni, ma altresì mantenuto con cura. Ciò che tormentava la mia curiosità era una serranda sempre abbassata, al limite del pensiero di funzionalità, o meno, dell’esercizio. Fortunatamente la smentita, presto si è fatta riconoscere, alche, chiedendo informazioni, a chi la zona la conosce meglio di me, scopro l’effettivo orario di apertura al pubblico: le 19:00. (escluso il lunedì) Entusiasta di verificare l’esattezza delle informazioni ricevute, nel varcare la porta del civico 1 di via XXIV Maggio, ho trovato al suo ingresso un piccolo gioiello di legno e mattoni, che mi ha accolto come le braccia di una mamma. Piccolo e rustico, al suo interno, il locale ed i suoi gestori, si sono presentati con molta gentilezza nei miei confronti e degli ospiti che vi erano al suo interno. Mi sono accomodato e, menù alla mano, ho scelto di assaggiare un paio delle cinque diverse birre elencate, tutte prodotte dal Mastro Birraio Rossi Valentino, nonché proprietario dell’attività dal 2004, che purtroppo non ho avuto, in questa occasione, l’opportunità di conoscere personalmente, a differenza della Signora Etta, che, con garbata gentilezza si è presa carico delle mie richieste.

L’Inconsueta, omonima del birrificio appunto, una bionda fresca ed avvolgente nei profumi e dal sapore lievemente affumicato, racchiusi nel 4,5% di volume alcolico, nascosti da una schiuma morbida, pannosa e molto persistente, nati da una ricetta personale del Mastro Valentino. Dopodiché mi sono tuffato in un amaro sapore tipico anglosassone datomi dalla SpeciAle English, come recita il menù appunto, una rossa con un 5,5% di gradazione, anche lei dotata di una bellissima schiuma persistente, molto piacevole al palato. Il tutto accompagnato da un tagliere di salumi e formaggi tipici, serviti insieme a del mosto di vino dalla consistenza simile al miele, ma dal gusto inequivocabile del malto, cui non riesco a trovare aggettivi per spiegarne la bontà. Infine, dato il periodo pasquale in cui ci troviamo, non ho saputo rifiutare la proposta della gentile Signora Etta, e quindi mi sono lasciato coinvolgere nell’assaggiare una fetta di colomba, fatta con trebbie di malto e con birra al miele di castagno servita con del mascarpone. Già, il mascarpone, un classico voi direte, ed è proprio qui che vi sbagliate; semplice agli occhi, ma che al palato ha dato vita ad una, come dire, “inconsueta” e sorprendevole festa di sapori creata appunto dalla moglie del Signor Rossi. No, il trucco del mascarpone non voglio svelarlo, perché vi rovinerei la sorpresa nel caso vi venisse in mente di andare personalmente in questo birrificio; sarebbe come raccontarvi il finale di un film che non avete ancora visto…o no?!? In quanto alla colomba, non vi ho detto che era buona, vi dico solo che ne ho comprata una intera da portare a casa.

Quella che vi ho raccontato è stata la mia picccola esperienza visitando questo, secondo me, fantastico seppur piccolo locale, dove ho avuto il piacere di conoscere nuovi sapori e di provare belle emozioni. Ovvio tutto è soggettivo, proprio come la fantasia, che ci permette di creare, ciò che l’istinto di ognuno di noi, suggerisce. Spero di riuscire, a breve, a raccontarvi una nuova esperienza, ma in tutta onestà penso anche, che all’Inconsueto tornerò presto.

I viaggi del Maltobirraio


Prendendo una pausa sulla procedura di birrificazione, vorrei inserire una piccola rubrica, che non vuol avere un concetto “pubblicitario” nel senso specifico della parola stessa, ma che vuol informare, o per meglio dire, raccontare luoghi e realtà, descrivere emozioni e sensazioni, che ricevo nel visitare i vari birrifici, pub o manifestazioni inerenti comunque, alla nostra bevanda preferita. In questi articoli “saltuari”, darò, talvolta, dei giudizi, che saranno comunque personali. Non mi occupo di recensioni, non sono un critico, né tanto meno un professore, ma solo un piccolo birraio appassionato e a volte un po’ “malto”, perciò non mi soffermerò mai troppo, nemmeno sulla descrizione tecnica dell’una o dell’atra birra; come ho detto prima, vorrei raccontare più di tutto l’esistenza di piccole o grandi realtà inerenti alla birra e le emozioni che sapranno suscitarmi. Mi piacerebbe l’idea di scoprire anche i più piccoli “vicoletti” nascosti che, con passione e dedizione, animano questo mondo, dando sfogo alla fantasia e alla creazione di successi qualitativi, più che a quelli strettamente economici. Il nostro oro, versiamolo nei bicchieri e…cin cin.

mercoledì 23 marzo 2016

L’Ammostamento


Una volta maltati i cereali, e poi macinati, si arriva ad un’altra fase molto interessante riguardante la produzione della birra. L’ammostamento.

L’ammostamento è l’operazione durante la quale si estraggono gli zuccheri dal malto portandoli in soluzione nell’acqua riducendo, eventualmente, il contenuto proteico del mosto che si va formando. Lo scioglimento degli zuccheri e il degradarsi delle proteine, è dovuto agli enzimi, che formandosi durante il processo di maltazione, sono ora divenuti pronti ad agire sul chicco di malto. Di questi, due servono ad estrarre gli zuccheri dal malto rendendoli solubili nell’acqua, mentre il terzo si adopera per il degrado delle proteine e per conferire maggiore stabilità alla birra. Gli enzimi che estraggono gli zuccheri si chiamano alfa amilasi e beta amilasi. Il primo svolge un lavoro più grossolano staccando pezzi relativamente grossi dall’amido maltato, le maltodestrine; mentre la beta amilasi, l’altro enzima, con la sua precisione, va a rilevare soltanto frammenti costituiti da due zuccheri semplici, il maltosio.

Questi due prodotti, maltosio e maltodestrine, sono in qualche modo alternativi perché si ottengono dall’azione di due diversi enzimi sullo stesso materiale, che è l’amido. Favorendo l’azione delle beta amilasi potremo ottenere un mosto con alte concentrazioni di zuccheri fermentescibili, che in sostanza significa maggiore alcol nella birra, se invece favoriamo l’azione dell’alfa amilasi andremo ad ottenere una maggiore concentrazione di maltodestrine, che invece trasmetterebbero una maggiore corposità alla birra ed un pizzico di dolcezza in più. Già, perché si parla di zuccheri estratti dal malto, in effetti se avete provato ad assaggiare un chicco vi siete subito resi conto di quanto sia dolce il sapore, ma ciò non decreta una regola sulla “dolcezza” della birra; anche se il mosto è dolce, non è detto che lo sia anche la birra. Sì, perché solo il dolce proveniente dalle maltodestrine è quello che resiste al processo di fermentazione.

Il metodo più utilizzato per differenziare queste due attività è quello di agire sulla temperatura. Ogni enzima agisce al meglio ad una precisa temperatura, ad esempio 65°C, ciò non vuol dire che a pochi gradi di differenza questi enzimi non agiscono più, semplicemente a quelle temperature la velocità della reazione che inducono, sarà minore, non togliendo che invece altri enzimi ne potrebbero trarre vantaggio. Sembra complicato, ma non lo è, basta farsi aiutare semplicemente da un termometro, così da tenere sempre sotto controllo la temperatura desiderata, in base alle caratteristiche che vorremo imprimere al prodotto, tenendo presente anche, che temperature troppo alte farebbero addirittura cessare l’attività di questi enzimi. Mantenendo la miscela ad una certa temperatura per un certo periodo di tempo, ad esempio mezz’ora, potremo favorire la reazione di un certo enzima, mentre gli altri nel frattempo rimarranno inattivi, o se attivi, alla minima velocità. Parlando praticamente, ad una temperatura di circa 60°C sarà la beta amilasi ad essere l’enzima più attivo, mentre portando il mosto a 70°C daremo più velocità di reazione all’alfa amilasi. A questo punto, termometro alla mano, non resta che “giocare”; voglio una birra più corposa o una birra più alcolica?